La Drina è il più importante
affluente del fiume Sava. Le sue foci si trovano in Montenegro e il suo corso
si spinge da sud a nord, attraverso le Alpi Dinariche, formando per lunghi
tratti un confine naturale tra Bosnia e Serbia. In un’ampia vallata, nel punto
di incontro con un affluente minore, lo Rzav, sorge Višegrad: una cittadina
relativamente piccola in cui per secoli la popolazione serba ha vissuto insieme
a quella turca, una situazione comune nelle terre bosniache. Nel Cinquecento Višegrad
venne conquistata dagli Ottomani insieme al resto della Bosnia e a gran parte
dei Balcani. Da allora la città ha conosciuto il destino delle periferie dei
grandi imperi: quello turco prima e quello austriaco poi.
È qui che Ivo Andrić decide di ambientare il suo più celebre romanzo: Il ponte sulla Drina (Na Drini ćuprija, 1945). Non è una scelta semplice: su questi territori di periferia la storia scorre sempre senza però fermarsi mai; gli abitanti di Višegrad, che da sempre vivono lontani da ogni ideale di grandezza, non hanno mai compiuto niente di importante e sembrano destinati all'oblio.
Il ponte sulla Drina affronta cinque secoli di storia: dall'edificazione del ponte voluta dal gran visir Mehmed Pascià fino alla sua distruzione avvenuta all'inizio della Grande Guerra.
Ma prima di andare oltre è forse
meglio soffermarsi un poco sulla struttura del testo. Solitamente in un romanzo
l’intreccio si sviluppa intorno a uno o più personaggi e alle loro vite, percorrendo
un arco temporale che le comprende appieno o solo in una loro parte. Qui la
faccenda è diversa e al centro della narrazione troviamo un oggetto inanimato:
il ponte. Intorno ad esso si sviluppano un grande numero di nuclei narrativi,
anche molto brevi, e grazie ad esso è assicurato lo sviluppo temporale del romanzo.
La costruzione del ponte è l’espediente per raccontare le storie di Abid-Aga,
il supervisore inviato dal sultano, e di Radisav, umile contadino serbo morto
in nome della libertà; l’installazione di una ridotta al suo centro si collega
con la storia del garzone Mile e del vecchio Jelisije, ma anche di Gregor Fedun,
soldato di origine russa, ingannato dal sorriso di una donna. Il corso del
tempo è scandito dal susseguirsi delle stagioni lungo il fiume, dalle sue piene,
dai lavori di restauro del ponte e dai decreti regi affissi sulla sua pietra.
Il ponte è quindi un elemento strutturale fondamentale per la costruzione del testo che conferisce una forte continuità sia logica sia temporale ai fatti narrati. Senza di esso non ci troveremmo di fronte a un romanzo, ma di fronte a una semplice raccolta di novelle slegate tra di loro, e Andrić ne è pienamente consapevole.
Il primo capitolo fa da cornice all’intero romanzo. Qui non solo vengono anticipati i motivi e i filoni narrativi che verranno poi sviluppati ampiamente nel testo ma viene anche chiarito fin da subito il forte legame che collega il ponte e la sua kapija (la parte terrazzata del ponte) con gli abitanti di Višegrad.
«Sul ponte e sulla kapija, intorno ad essi o a essi strettamente collegata, si svolge, come avremo occasione di vedere, la vita degli abitanti di Višegrad. In tutti i racconti, personali, familiari o collettivi, si sentono sempre le parole “sul ponte”. E infatti, sul ponte della Drina avvengono le prime passeggiate e i primi giochi dei bambini. […] Fin dai primi anni di vita gli occhi si abituano alle linee armoniose della grande costruzione di pietra chiara, porosa, tagliata in modo uniforme e perfetto.»[1]
Nessuno viene escluso dal
racconto di questi cinquecento anni di storia. Sul ponte passano tutti, dal
semplice artigiano al proprietario terriero turco: per Andrić vale
sempre la pena di esplorare la vita del singolo individuo e di raccontare la
sua esperienza. Ed è proprio qui che è possibile riscontrare la concezione che
l’autore ha della storia: storia che, seppure composta di grandi eventi e
grandi personalità, si ripercuote sul singolo fino a toccarne la vita privata.
Questo rapporto tra individuo e storia si sintetizza in Andrić in una prosa che
nel ritrarre la piccola vita ha sempre alle spalle un preciso disegno storico. Per
questo motivo il ponte è così importante: è quell'elemento minimo che, se da un lato
ha sempre a che fare con i grandi eventi del mondo, dall'altro consente di raccontare
la vita di tutti. E in questo modo è possibile ritrarre l’interezza della
gente che si muove su di esso senza escludere nessuno; il lettore si trova così di fronte a un’incredibile
pluralità di punti di vista che si alternano per tutta la lunghezza del romanzo.
Includere ogni individuo nella sua opera è una assoluta necessità per Andrić, e
lo confermerà a Stoccolma nel suo discorso per l’assegnazione del Nobel nel
1961:
Infine è la monumentalità del ponte ad assicurare il ricordo degli abitanti di Višegrad. La sua solidità assicura la sua durata nei secoli e le sue forme rimarranno per sempre negli occhi dei cittadini di Višegrad che continueranno a tramandarne le cronache e le leggende.
«I geni, i costruttori, gli eroi dei suoi libri sono tutti uomini di poche parole, lavorano in silenzio, immersi nella loro opera innalzando ponti e chiese, costruendo fontane, scrivendo cronache e storie. Queste cronache sono i loro racconti fantastici, per queste opere gli uomini li ricordano, perché tutto passa ma l’opera rimane».[3]
Ricordo al lettore che il ponte, nonostante un travagliato Novecento, è tuttora in piedi e che, se vuole entrare a far parte della sua storia, è possibile attraversarlo per intero e sedersi sulla kapija per osservare il lento scorrere della Drina.
Matteo
[1] Ivo
Andrić,
Il ponte sulla Drina, Mondadori, Milano, 2016, p. 6.
[2] Diego
Zandel, Giacomo Scotti, Invito alla lettura di Andrić, Mursia,
Milano, 1981, p.37.
[3]ivi, p.39.
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