Il ventiduesimo capitolo
dei Promessi sposi è forse uno dei più odiati dagli studenti di
tutt’Italia. È il capitolo in cui viene annunciata l’imminente entrata in scena
del cardinale Carlo Borromeo. Un personaggio tanto importante da costringere
Manzoni a interrompere il proprio romanzo per narrarne la biografia. L’autore
però, pur visibilmente emozionato dall’arrivo dell’illustre personaggio, si
ricorda del proprio lettore e intuisce (giustamente) che questi non ha alcuna
voglia di sentire la storia del cardinale ma vuole soltanto procedere con il romanzo.
Che fare dunque? Il premuroso Manzoni prende la parola direttamente e autorizza
il lettore più impaziente a saltare tutto il capitolo e a passare a quello
seguente, in cui proseguono le avventure di Renzo e Lucia. Davvero un bel
gesto. In quest’articolo vogliamo proporvi la lista dei nostri cinque libri
fantasy preferiti, ma prima della lista vera e propria ci siamo visti costretti
a scrivere una breve introduzione, senza l’introduzione infatti, le nostre
scelte non sarebbero motivate a dovere. Molti lettori però sono qui per dei
semplici consigli di lettura, e probabilmente non hanno né il tempo né la
voglia di leggere la nostra noiosa introduzione, in cui tra l’altro nemmeno si
parla di fantasy! Li capiamo perfettamente e, imitando Manzoni, li autorizziamo
a passare direttamente alla lista (subito dopo la prima immagine). Ai più
pazienti invece rubiamo solo due minuti in più.
Nel 1960 il sociologo
americano Dwight Macdonald pubblicava sulla rivista Partisan Review un saggio
intitolato Masscult and Midcult. Oggi, quel breve eppure fondamentale
testo, scritto da un autore non certo tra i più noti, è divenuto un vero e
proprio classico, apprezzato e citato da importanti intellettuali (tra gli
estimatori di questo libro troviamo anche Umberto Eco, che ne ha introdotto
l’ultima edizione italiana) e imposto dai professori universitari ai propri
studenti. Ma che cosa troviamo in Masscult and Midcult? Troviamo
esattamente ciò che dice il titolo, due nuove categorie in cui suddividere la
cultura. O meglio, due forme di anti-cultura che si oppongono alla cultura vera
e propria, l’Alta Cultura. Cosa sono, precisamente, il Masscult e il Midcult?
Il Masscult non offre ai suoi
clienti né una catarsi emozionale né un'esperienza estetica, perché queste cose
richiedono uno sforzo. La catena di produzione macina un prodotto uniforme il
cui umile scopo non è neppure il divertimento, perché anche questo presuppone
vita, e quindi sforzo, ma semplicemente la distrazione. Può essere stimolante o
narcotico, ma dev'essere di facile assimilazione. Non chiede nulla al suo
pubblico, perché è «completamente soggetto allo spettatore». E non dà nulla.[1]
Il concetto di Masscult
è dunque piuttosto intuitivo. La cultura di massa, più che le regole dell’arte,
segue quelle dell’economia. I prodotti della cultura di massa non vogliono
essere arte ma sono, per l’appunto, dei prodotti. Facili da vendere, facili da
consumare, utili per distrarsi, privi di originalità e di profondità. Più
difficile capire che cosa intende Macdonald per Midcult, la categoria
che potremmo tradurre con “cultura media”:
[…] una cultura media che minaccia
di assorbire entrambi i genitori. Tale forma intermedia – che chiameremo
Midcult – possiede le qualità essenziali del Masscult […] ma le nasconde
pudicamente con una foglia di fico culturale. Nel Masscult il trucco è scoperto
– piacere alle folle con ogni mezzo. Ma il Midcult contiene un duplice
tranello: finge di rispettare i modelli dell’Alta Cultura mentre in effetti li
annacqua e li volgarizza.[2]
Il Midcult insomma
non è tanto, come potrebbe sembrare dal nome, una forma di cultura che sta a
metà tra la cultura alta e la cultura di massa, è invece una forma di Masscult
travestito da cultura vera e propria. Un Masscult meno “onesto”, meno
evidente e perciò più pericoloso. Il Midcult, tra le due categorie, è
chiaramente quella più difficile da conoscere ed esemplificare (Macdonald nel
suo saggio ci propone comunque vari esempi tratti dalle diverse arti), se
pensiamo al Masscult invece, agli oggetti culturali prodotti in serie come cibo
da fast food (da Macdonald a McDonald’s il passo è breve), gli esempi sono
centinaia. Forse il fantasy è il genere letterario in cui emergono con maggior
evidenza le caratteristiche elencate da Macdonald, il genere in cui l’autore sa
perfettamente cosa vuole il suo pubblico e cerca di accontentarlo, di distrarlo
con trame scontate (possibilmente trascinate per più e più volumi…) e
personaggi prevedibili. All’interno del fantasy dunque è davvero difficile
scoprire libri che non siano semplici prodotti di consumo, oggetti per
distrarre la massa, ma vere e proprie opere letterarie. Noi, come sempre, ne
abbiamo scelti cinque, cinque fantasy che non si possono non conoscere, ma la lista potrebbe essere molto più lunga...
1) J.R.R Tolkien - Il
signore degli anelli (1954-1955)
Ovviamente. E,
altrettanto ovviamente, Lo Hobbit (1937). E poi tutti i vari altri
testi, un po’ meno ovvi, ambientati nella Terra di Mezzo. Annoiare i lettori
con una lunga introduzione sulla cultura di massa e poi proporre la saga più
conosciuta e commercializzata di sempre, fonte d’ispirazione per film, cartoni,
videogiochi e merchandising di ogni tipo, può sembrare un paradosso. Eppure, le
numerose e affascinanti vicende che ruotano attorno al misterioso anello, non
nascono affatto come cultura di massa. L’autore, nello scrivere le avventure di
Bilbo e compagni, non aveva in mente il grande pubblico, ma quello più piccolo
possibile, quello della propria famiglia e dei propri amici, Lo Hobbit infatti
nasce dai racconti che il signor Tolkien amava raccontare ai propri
figli per divertirli e insegnare loro a usare la fantasia. Ma Tolkien non si
limita a inventare delle semplici storie, crea un vasto e complesso mondo
alternativo al nostro, con una geografia dettagliatissima, un’importante storia
alle spalle (in parte raccontata in alcuni dei dodici volumi di The History
of Middle-earth. Libro non ancora tradotto in italiano), un’affascinante
mitologia (Il Silmarillion - 1977), creature di varie specie, ognuna
dotata di proprie peculiarità e di una propria lingua. Il signore degli
anelli è soprattutto questo. Molto più dei sei (per ora…) film diretti, con
spesa sempre maggiore, da Peter Jackson.
2) C.S. Lewis - Le
cronache di Narnia (1950-1956)
L’altro grande classico
del fantasy. Per questo libro (questi sette libri, in realtà) potremmo copiare
e incollare ciò che abbiamo detto per la saga precedente. Lewis, a differenza
del collega e amico Tolkien, è però meno interessato alla creazione di dettagli
per il proprio mondo immaginario, la geografia di Narnia non è precisa come
quella della Terra di Mezzo, la sua storia e la sua mitologia non sono
altrettanto approfondite. Elemento davvero affascinante di Le cronache di
Narnia è la sua costruzione allegorica, il fatto che tutti i principali
episodi di questa lunga saga rimandino a un altro libro: la Bibbia. È così che
il leone Aslan, il figlio dell’onnipotente Imperatore d’oltremare, ci ricorda
Cristo, che Frank e Helen, la prima coppia umana ad abitare Narnia, rimandano a
Adamo ed Eva, che lo spaventoso dio Tash prende il posto di Satana. Con la sua
creazione letteraria Lewis non vuole chiaramente fare la morale o tentare di convertire
i suoi lettori al cristianesimo, vuole semplicemente proporre un gioco
d’immaginazione: cosa succederebbe se le vicende narrate nella Bibbia, invece
che essere ambientate nel nostro mondo, si svolgessero in un mondo alternativo?
3) M. Ende - La storia
infinita (1979)
Sentendo parlare di La storia infinita, probabilmente molti penseranno subito al film del 1984 diretto da Wolfgang Petersen. Un film talmente brutto da indurre lo scrittore del libro da cui è tratto a dissociarsene pubblicamente. Perchè prima di essere un film infatti, La storia infinita è anche e soprattutto un bellissimo libro. Un libro dalla trama piuttosto semplice ma dalla struttura oltremodo complessa, un metaromanzo in cui il piccolo Bastiano, inizialmente un lettore di La storia infinita, proprio come noi, diventa poco alla volta protagonista, ritrovandosi a dover salvare il mondo descritto nella storia che stava leggendo. La storia infinita è una provocazione dell’autore al proprio periodo storico: in una fase del Novecento in cui il realismo è quasi d’obbligo e all’intellettuale viene richiesto di schierarsi, di prendere posizione a livello politico, Ende propone un libro ambientato nel regno di Fantàsia, un mondo immaginario nato dai sogni a occhi aperti degli esseri umani. Ma ormai gli esseri umani non fanno più uso della fantasia, non ne hanno più nè il tempo (Un altro bellissimo romanzo di Ende, Momo, ha come tema centrale proprio il tempo) nè la voglia e perciò Fantàsia sta scomparendo, per lasciare il posto a un minaccioso e orribile Nulla. Solo un lettore dotato di molta immaginazione (Bastiano, in questo caso, ma a dover sostenere questo peso sarebbe potuto essere uno di noi!) può rimettere a posto le cose.
4) M. Peake - Gormenghast (1946-1959)
In un’intervista del 2019, Michele Mari, forse il miglior scrittore italiano degli ultimi anni, fa sfilare davanti al lettore i suoi modelli, quelli che considera gli scrittori più grandi del Novecento: Céline, Gadda, Gombrowicz e Mervyn Peake. I primi tre sono effettivamente scrittori straordinari, di difficile accesso per l’ampio pubblico ma certamente conosciuti e apprezzati dai lettori più allenati. L’ultimo nome invece stupisce, Peake è uno scrittore praticamente sconosciuto, eppure Mari non ha alcun problema nel dire che Gormenghast «[…] si mangia L’uomo senza qualità come un tramezzino.»[3]. In effetti, chi provasse a immergersi in questa lunga (sommando i tre libri di cui si compone, si arriva a più di millecinquecento pagine) e complessa lettura, si accorgerebbe di avere a che fare con un libro davvero straordinario, un fantasy anomalo, senza magia, senza draghi e altre strane creature. Un fantasy statico che attraverso l’osservazione della vita di decine e decine di personaggi, racconta la storia di un unico personaggio: il misterioso e impossibile castello di Gormenghast, sconfinata fortezza che, per i suoi abitanti, rappresenta tutto il mondo conosciuto. Luogo immobile in cui il tempo di tutti i personaggi, dal potente e malinconico conte de' Lamenti, al pigro impiegato Stoccafisso, viene scandito da riti antichissimi e ormai del tutto privi di significato.
5) A. Kubin - L’altra
parte (1909)
Alfred Kubin è conosciuto
principalmente per le sue illustrazioni e i suoi dipinti, delle opere d’arte
strane e disturbanti, dei veri e propri sogni trasferiti sulla tela. Il sognatore
Kubin però, oltre a numerose opere d’arte, ci ha lasciato anche il suo unico
romanzo, un romanzo fantastico ambientato nella città di Perla, capitale del Regno
del Sogno. L’Artista, anonimo protagonista del libro, e la sua amata moglie saranno
inizialmente felici, ma si accorgeranno ben presto che nella magnifica Perla non
c’è spazio per la libertà: il misterioso e onnipotente Patera, assente eppure
venerato e temuto da tutti come una divinità, controlla la città e tutti i suoi
abitanti, disponendo a piacimento delle loro vite. Momento culminante del
romanzo sarà l’improvvisa morte della moglie dell’Artista, a seguito della
quale la bella città inizierà a crollare e i suoi abitanti a impazzire. La
vicenda narrata, oggettivamente semplice e banale, assume una profondità
diversa alla luce della biografia dell’autore, vera e propria chiave di lettura
per comprendere veramente il romanzo. Kubin utilizza la fantasia per parlarci
di se stesso, del proprio rapporto con un Dio che non ascolta le preghiere dei propri
sudditi, di un episodio drammatico della propria vita (la morte dell’amata
moglie Hedwig) a seguito della quale la sua salute mentale, come la bella città
di Perla, inizierà inevitabilmente a crollare.
[1] D. Macdonald, Masscult e Midcult,
Roma, Edizioni e/o, 1997, p. 21.
[2] Ivi, p. 65.
[3] C. Mazza
Galanti (a cura di), Scuola di demoni. Conversazione con Michele Mari e
Walter Siti. Roma, Minimum fax, 2019, p. 25.
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