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Lettura, critica, menzogna. Jorge Luis Borges

Nel 1957 Vladimir Nabokov, uno dei grandi romanzieri del secolo scorso, si candidò per un ruolo di insegnante di letteratura presso la prestigiosa università di Harvard. Il noto linguista Roman Jakobson, stimato docente nella stessa università, si mostrò fin da subito fortemente contrario a questa candidatura e, davanti alle obiezioni stupite di alcuni colleghi («Ma il signor Nabokov è un grande scrittore!»), rispose con una frase divenuta celebre: «Anche l’elefante è un grande animale; lei lo chiamerebbe a dirigere il dipartimento di zoologia?». Jakobson, in quell'occasione, riuscì ad averla vinta e Nabokov non ebbe il posto. La storia recente però, non sembra dare ragione all'arguto studioso, quanto piuttosto ai suoi anonimi avversari: guardandoci attorno infatti, possiamo vedere diversi elefanti che, abbandonata la savana, entrano nelle aule universitarie allo scopo di parlarci di loro stessi e di altri membri della propria specie. Al di là della metafora, possiamo notare che in effetti molti dei testi di critica letteraria più acuti e degni di nota degli ultimi anni non sono stati scritti da critici di professione, ma da scrittori, spesso importanti. Pensiamo ad esempio a Kundera: un grandissimo romanziere che, alla scrittura, ha sempre accompagnato la riflessione sull'arte del romanzo. Una delle opere più belle di Kundera è un saggio, e si intitola proprio L’arte del romanzo (1986). Un altro grande autore che si dimostra anche un ottimo critico è David Foster Wallace: nella sua raccolta Considera l’aragosta (2005), tra una riflessione sull'industria pornografica americana e una gita alla sagra dell’astice del Maine, troviamo alcune riflessioni su Kafka (Alcune considerazioni sulla comicità di Kafka che forse dovevano essere tagliate ulteriormente) e su Dostoevskij (Il Dostoevskij di Joseph Frank) davvero profonde e innovative. Un terzo esempio di “elefante che insegna zoologia” è Michele Mari che, nel suo libro I demoni e la pasta sfoglia (2004), ha inserito e continua a inserire le proprie opinioni su scrittori di ogni epoca e provenienza geografica. Risultato di questo lavoro è una vera e propria biblioteca portatile, una raccolta che si fa sempre più ricca e voluminosa, fornendoci profili critici di decine e decine di grandi autori.

 




Ma da cosa sono accomunati tre autori diversi come Kundera, Mari e Wallace? Cos'è a renderli, oltre che grandi scrittori, acuti e brillanti critici? Ciò che forse Jakobson non capiva è che un bravo scrittore e un bravo critico, nel loro lavoro, sono accomunati dalla stessa fase iniziale: quella della lettura. Proprio come i migliori musicisti sono, prima di tutto, degli ascoltatori di buona musica, così i migliori scrittori, i più originali e capaci, sono innanzitutto dei lettori attenti e appassionati. Da qui nasce il loro modo di fare critica insolito, fuori dagli schemi, un modo radicale nel senso etimologico del termine: uno scrittore infatti, si fa critico per cercare di arrivare alle radici della propria scrittura. Pensiamo nuovamente a L’arte del romanzo, in questo libro straordinario Kundera non fa altro che mostrarci le foto dei propri “familiari”: Gombrowicz, Kafka, Musil, Flaubert, Rabelais, Cervantes e gli altri autori che più ha amato, che più lo hanno influenzato. Michele Mari fa in fondo la stessa cosa: I demoni e la pasta sfoglia non è soltanto un’opera di critica letteraria, è una vera e propria autobiografia, Mari parla di Gadda, di Céline, di Buzzati, ma il suo intento è parlarci di se stesso. La critica fatta dagli scrittori è, potremmo dire, egocentrica: ripiegata su di sé. Lo scrittore-critico mira a farci conoscere i propri modelli, a creare la tradizione all'interno della quale vuole essere inserito e letto. In questo modo nascono strade diverse, collegamenti inaspettati che il critico di professione, per quanto capace, non riesce a vedere.


 



Riflettendo su questa figura, quella dello scrittore che, attraverso la lettura, riesce a diventare un abile critico, ci viene in mente un’immagine:

 


C’è una foto in cui si vede Borges mentre cerca di decifrare un libro che tiene incollato alla faccia. È in una delle gallerie alte della Biblioteca Nazionale di via México, accovacciato, lo sguardo sulla pagina aperta.

Uno di lettori più convincenti che conosciamo, del quale possiamo immaginare che abbia perduto la vista leggendo, cerca, malgrado tutto, di continuare.[1]

 

Con questa descrizione Ricardo Piglia (un altro scrittore e critico!) apre il primo capitolo del suo saggio L’ultimo lettore. La caratteristica più importante ed evidente di Borges è proprio quella evidenziata dal suo amico e discepolo Piglia: Borges è un lettore straordinario, un lettore estremo che, dopo aver perso la vista sui libri, tenta ancora, contro ogni logica, di leggere. Borges è un lettore disordinato e “onnivoro” che alterna L’Enciclopedia britannica ai romanzi d’avventura, la Bibbia ai gialli di seconda scelta dei mercatini delle pulci, le saghe nordiche al manuale di storia della filosofia. Tutto diventa materiale utile alla critica e alla letteratura. Ed è proprio questo il grande motivo di originalità di questo insolito scrittore: gli autori sopra menzionati si occupano sia di letteratura che di critica, ma le due attività si svolgono in momenti diversi, Borges invece fonde la realtà della critica alla fantasia della letteratura e crea un genere del tutto nuovo. I testi di Borges non si possono certamente definire opere saggistiche, l’autore non ha nessuna intenzione di rivelarci una qualche verità, ma non sono nemmeno dei racconti, sono delle pure e semplici menzogne, delle finzioni.


 



Finzioni è, non a caso, il titolo della seconda e più importante raccolta di Borges, pubblicata nel 1944. Tra i vari scritti di questa raccolta, tutti degni di nota, vale la pena soffermarsi sul quinto: Esame dell’opera di Herbert Quain, un vero e proprio testo di critica letteraria dedicato all'opera di Quain, scrittore americano da poco deceduto. Borges ci fa conoscere meglio questo importante ma dimenticato autore, analizza per noi i suoi libri principali, tra cui il bellissimo romanzo-gioco April March:

 

Tredici capitoli compongono l’opera. Il primo riporta il dialogo ambiguo di alcuni sconosciuti su un marciapiede. Il secondo riporta gli avvenimenti della vigilia del primo. Il terzo, anch'esso retrogrado, riporta gli avvenimenti di un'altra possibile vigilia del primo; il quarto quelli di un’altra. Ciascuna di queste tre vigilie (che si escludono rigorosamente) si ramifica in altre tre vigilie, di natura molto diversa.[2]

 

Borges poi continua, si sofferma sugli interessi filosofici di Quain, sulle sue principali influenze letterarie, ci parla degli altri libri di quest’autore davvero fuori dal comune, il lettore è quasi convinto dall'appassionata eppure lucida recensione di Borges, sta per recarsi in libreria per comperare un romanzo di Quain…l’unico problema è che Herbert Quain non è mai esistito. Borges ci ha ingannati, ha utilizzato la critica come tema per un racconto, ha creato una delle sue geniali Finzioni.

 Altro libro straordinario di Jorge Luis Borges è Altre inquisizioni, una raccolta di brevi saggi critici o di racconti filosofici pubblicata nel 1952. Anche in questo caso, definire il genere dei testi che leggeremo è impresa assai complessa, e probabilmente del tutto inutile dato che, come abbiamo visto, il “lettore totale” Borges riconosce un solo genere: la letteratura. E la letteratura si può costruire usando qualsiasi tipo di materiale. In questa raccolta possiamo osservare da vicino il modo di fare critica (e quindi di leggere) di Borges, un modo caotico e apparentemente privo di senso in cui parlare di un autore o di un libro può significare aprire parentesi che portano ad altri autori o libri lontanissimi nello spazio, nel tempo e nello stile. Fare critica al modo di Borges può voler dire, ad esempio, ricercare la stessa metafora attraverso secoli di letteratura. È questo lo scopo del breve saggio La sfera di Pascal[3], testo in cui l’idea di Dio come una sfera eterna viene studiata accostando tutti gli autori che, nel corso della storia, l’hanno utilizzata, da Platone a Dante, dal leggendario autore del Corpus Hermeticum a Blaise Pascal. In questo libro gli accostamenti di Borges sono azzardati, i legami tra gli autori sono fragili e malsicuri, si tratta di un modo di fare critica estremo e paradossale. Ma Borges, in Kafka e i suoi precursori, un altro testo della raccolta, in una semplice frase, ci fornisce la chiave per capire questo libro: «Il fatto è che ogni scrittore crea i propri precursori.»[4]. In questa frase è racchiuso il senso del modo di fare critica di Borges, di Mari, di Wallace, di Kundera. La critica degli scrittori è critica “interessata”, soggettiva, diversa. Ci permette di vedere gli oggetti (letterari) da una prospettiva del tutto differente. Come sarebbe un documentario sugli elefanti se, invece che da uno zoologo, fosse presentato da un elefante?




Nico



[1] R. Piglia, L’ultimo lettore, Milano, Feltrinelli, 2007, p. 17.

[2] J.L. Borges, Finzioni, Milano, Adelphi, 2003, pp. 64-65.

[3] J.L. Borges, Altre inquisizioni, Milano, Feltrinelli, 2019, pp. 12-15.

[4] Ivi, p. 108.

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