Il Maestro e Margherita è un classico novecentesco. E come ogni classico che si rispetti, può essere preso da svariati punti di vista e attraversare le arti. Se si pensa a quest’opera letteraria applicata alle arti figurative, ad esempio, vengono subito in mente numerose illustrazioni, le variegate immagini di copertina delle varie edizioni. In musica, il capolavoro di Michail Bulgakov ha ispirato Simpathy for the Devil dei Rolling Stones, Pilate dei Pearl Jam, Love and destroy dei Franz Ferdinand. Diverse sono le trasposizioni cinematografiche (ricordiamo il film del 1972 di Aleksandar Petrović, con Ugo Tognazzi nella parte del Maestro) e televisive. Naturale, infine, che un romanzo così straripante di luoghi e azioni teatrali trovi terreno fertile nella pratica del palcoscenico. Di quest’ultimo legame, quello tra letteratura e teatro (o meglio, della letteratura che si fa teatro), ci occuperemo in questo articolo, prendendo in esame due differenti proposte: una più canonica, l’altra più singolare.
Tutti i fili di un caos organizzato
Il primo caso
è la versione prodotta dal Teatro Stabile dell’Umbria. A dirigerla è Andrea Baracco,
regista molto abile ad approcciarsi ai classici (si è misurato anche con l’Edipo Re di Sofocle e più volte con
Shakespeare) per farli parlare al presente. Il
Maestro e Margherita, come risaputo, ha tre piani narrativi che si
alternano continuamente, fino ad intersecarsi: la storia d’amore tra i
protagonisti eponimi, il Diavolo e la sua cricca che portano scompiglio a
Mosca, il romanzo di Ponzio Pilato. Il regista, appoggiandosi alla fedele
riscrittura di Letizia Russo, tenta la sfida di tenere tutti i fili e muoverli
insieme: i colori, gli stili, i registri, la maestosità di temi e immaginari, gli
aspetti più folli e surreali con quelli più profondi e umani. Di rendere la
complessità dell’originale porgendola con semplicità. Un’impostazione nel solco
dei maestri del teatro di regia.
Per essere
fruibile in tre ore intervallo incluso, infatti, l’imponente costruzione
bulgakoviana necessita di semplificazione. In una scena cupa (realizzata, al
pari dei costumi, da Marta Crisolini Malatesta), una scatola di lavagna nera
con pareti e porte pronte ad accogliere parole, disegni, massime, numeri, date,
il contingente dei personaggi, circa 150 nell’opera, è ridotto per 11 attori,
alcuni dei quali impegnati in più parti. Michele Riondino è un Woland truccato
a mo’ di Joker, mefistofelico, perfido e inquietante ma, ancora di più,
tenebrosamente elegante ed affascinante. D’altronde, la platea deve provare empatia
per il diavolo, e le forze oscure per fare breccia devono saper essere
seducenti. Francesco Bonomo si sdoppia – curiosamente – tra il Maestro e
Pilato: lo scrittore e il suo personaggio romanzesco. Similarmente, Oscar
Winiarski è sia Ivan che Iešua.
Federica Rosellini, invece, è una Margherita un po’ amante bambina, un po’
strega selvaggia. E poi la corte di Woland – il gotico valletto Korov’ev, l’enorme
gatto Behemot, Hella – e una nutrita serie di personaggi secondari a rendere un
quadro variopinto, un caos organizzato dai colori febbrilmente accesi.
Una riscrittura ben riuscita, utile per entrare nel mondo de Il Maestro e Margherita in una consequenzialità molto fedele a quella voluta dall’autore.
Lo svelamento del dietro le quinte
Più singolare
la riduzione operata da AriaTeatro. Uno spettacolo che conduce gli spettatori
nei meandri, solitamente nascosti e inaccessibili, del Teatro di Pergine.
Un’operazione che nasce dalla volontà di svelare il retroscena, il dietro le
quinte, di far assaporare il teatro attraverso una prospettiva inusuale. Da lì,
la scelta di un testo come Il Maestro e
Margherita è stata quasi automatica.
Per rendere
in 80 minuti oltre 500 pagine di grande letteratura, i registi Giuseppe Amato e
Chiara Benedetti – in scena insieme a Denis Fontanari e Christian Renzicchi –
hanno compiuto scelte precise, isolando alcuni passaggi chiave e ricostruendo
un nucleo narrativo essenziale, che mette al centro soprattutto la tormentata
relazione sentimentale tra il Maestro e Margherita. Rispetto all’originale, risultano
sacrificate la componente satirico-grottesca e la trama parallela del romanzo
su Ponzio Pilato. D’altronde, l’intento principale della compagnia non è tanto
dare corpo ai fantasmi di Bulgakov, quanto trasportare in un’atmosfera di
affascinante mistero, arricchita da immagini di forte impatto visivo ed
emozionale. Immerso in un contesto itinerante che può far pensare ad un piccolo
mistero medievale in salsa novecentesca (o magari al teatro di massa di
Majakovskij, per restare in ambito sovietico), lo spettatore non è un mero
fruitore passivo dello spettacolo, bensì parte attivamente coinvolta,
risucchiata in un inesauribile susseguirsi di suggestioni.
Il pubblico è
accolto nel foyer come invitato a un gran ballo da svolgersi in una sala
sfarzosa illuminata da scintillanti luci e lumi di candela che rischiarano
l'oscurità della notte. Una voce fuori campo, introducendo per sommi capi la
vicenda della contrastata storia d'amore del Maestro con Margherita, lo cala e
lo invita subito in una dimensione da sogno. Il presentatore della serata
annuncia con arte l'atteso spettacolo di magia nera di un artista la cui
identità ci è ancora celata, interrotto improvvisamente da una richiesta
d’aiuto. È Ivan, il giovane poeta Bezdomnyj, che vuole far catturare uno
straniero che afferma di avere la prova dell'esistenza di Cristo e di conoscere
l'ora esatta della morte di ogni uomo (come accade con Berlioz); il suo appello
rimane però inascoltato, e lui creduto pazzo e portato via a forza.
Il pubblico
viene quindi diviso in tre gruppi, ciascuno traghettato da un animale guida: un
orso, un cervo e un'aquila. Un'invenzione registica che abbraccia l'anima low
fantasy del romanzo, e soprattutto utile e fondamentale per governare la
dimensione itinerante dello spettacolo: i momenti di transito da una scena
all'altra richiedono una precisione di tempi certosina. Seguendo tre percorsi
diversi, attraversando platea, cavedio, fossa dell'orchestra e varie scalinate,
gli spettatori sono accompagnati nelle sale espositive, nel magazzino e sul ballatoio.
In questi locali,
il pubblico assiste al soliloquio di Margherita (Chiara Benedetti) nella sua
camera, al dialogo tra Ivan (Denis Fontanari) e il Maestro (Giuseppe Amato) in
manicomio, al monologo di Woland (Christian Renzicchi) sul disvelamento della
magia. Margherita è disposta a tutto, anche a stringere un patto con il
Diavolo, pur di riavere il suo amato. In cella, Ivan e il Maestro si raccontano
di come ci sono finiti, l'uno impazzito dopo l'incontro con Woland, l'altro per
l'insuccesso del suo romanzo, in seguito al quale ha rinunciato al suo nome e
alla sua amata. Nel monologo su Margherita e nel successivo passaggio (nella
fossa) della distruzione del romanzo, Giuseppe Amato dà vita agli appuntamenti
di maggior pathos. Dietro le quinte del teatro, Woland smaschera la sua tecnica
– ammirare le ballerine dall'alto è uno dei momenti più suggestivi – e annuncia
l'imminente inizio del suo spettacolo.
Una volta
riuniti tutti sul palco, Woland celebra – con le danzatrici come officianti –
tramite la magia nera il ricongiungimento dei due amanti. È un rito pagano, una
messa nera: la tenebrosa musica (Lunacy degli
Swans) lo sottolinea. Il Maestro e Margherita si reincontrano. Da morti, ma
finalmente insieme. Insieme, salendo la scalinata centrale della platea vuota
ma riempita da un commovente gioco di luci (opera di Federica Rigon),
accompagnati dallo struggente requiem Lacrimosa
di Zbigniew Preisner (una colonna sonora cristiana, in evidente contrasto con
la precedente), accedono ad una dimensione altra, ultraterrena e onirica. Non
hanno meritato la luce, ma il riposo.
Un lavoro molto composito e stupendamente realizzato, che unisce in modo mirabile numerosissime componenti. Una traduzione drammaturgica capace di trasmettere con grandiosa efficacia, anche con un cenno fugace, tutte le suggestioni create da Bulgakov. Una costruzione registica che amalgama interpretazione, musica e danza, impatto visivo, sonoro ed emozionale.
Ora il romanzo, appena possibile a teatro
Quanto al
romanzo, è quasi superfluo consigliare vivamente di leggerlo o – caso non raro
– rileggerlo e viaggiare alto con l’immaginazione. Quando i teatri potranno
riaprire in sicurezza, lasciarsi trasportare, per tramite degli artisti, per
una sera o più, nel magico e misterioso mondo de Il Maestro e Margherita sarà sicuramente un tempo ben speso. Sia
che vi capiti a tiro una data della tournée dello spettacolo di Baracco, sia
che al Teatro di Pergine venga riproposta un’operazione che è ormai un evento
sempre molto atteso da cittadini e non, sia che cartelloni di vario tipo
offrano nuovi adattamenti o riletture. Un proficuo dialogo con i classici, antichi
o contemporanei che siano, con pietre miliari capaci di resistere alla prova
del tempo, attraversare le forme artistiche e parlare in maniera sempre nuova,
sarà sempre foriero di nuovi spunti e nuove riflessioni sull’umano.
Ivan
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