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Minotauri e labirinti

Tra le varie possibili etimologie del termine labirinto, la più affascinante ci riporta alle lingue pre-greche, al lidio labrys: bipenne, a due lame. Proprio l’ascia a due lame era il simbolo del potere regale del sovrano di Creta. Seguendo questo percorso, la parola labirinto significherebbe quindi "palazzo dell'ascia a due lame". L’etimologia stessa ci riporta al labirinto più famoso di tutti, abitato dal suo celeberrimo guardiano e prigioniero: il Minotauro. 

Il più famoso creatore di labirinti letterari è senza dubbio Jorge Luis Borges. In nessun altro autore troviamo una presenza così frequente di questo tema. Tra i suoi vari racconti ricordiamo La casa di Asterione, in cui il Minotauro stesso, oltre a farci fare un tour del proprio labirinto, ci racconta, con orgoglio misto a malinconia, come trascorrono le lunghe e noiose giornate al suo interno:


…fra tanti giuochi preferisco quello di un altro Asterione. Immagino ch'egli venga a farmi visita e che io gli mostri la casa. Con grandi inchini, gli dico: «Adesso torniamo all'angolo di prima», o: «Adesso sbocchiamo in un altro cortile», o: «Lo dicevo io che ti sarebbe piaciuto il canale dell'acqua», oppure: «Ora ti faccio vedere una cisterna che s'è riempita di sabbia», o anche: «Vedrai come si biforca la cantina». A volte mi sbaglio, e ci mettiamo a ridere entrambi.[1]




Possibile che in vari secoli di letteratura nessuno, tranne un solitario bibliofilo perso nel labirinto della sua biblioteca, abbia mai pensato di fornirci la versione del Minotauro piuttosto che quella del suo assassino Teseo o della di lui complice Arianna? Ovviamente no. Ormai otto anni fa, infatti, un altro grande scrittore contemporaneo si è lanciato in una strenua difesa di Asterione. Parliamo di Georgi Gospodinov, autore del bellissimo Fisica della malinconia (2012). In questo romanzo dominato dall’empatia e totalmente dedicato alle cose, alle persone, alle storie che altrimenti sarebbero dimenticate, perfino un mostro come il Minotauro può dire la sua: 


Padre è la parola che da tanto tempo mi pesa sulla lingua

ma so che ti ripugna e la ringoio di nuovo. Ecco

cosa ti dirò. È più terribile di quanto tu possa pensare. Sono del tuo sangue.[2]


Questo è ciò che il povero Asterione vorrebbe dire al padre Minosse e a noi lettori. Questo invece è ciò che udiamo noi: «Muuuuu…»[3]. Chi mai presterebbe attenzione alle parole di un mostro?

Destino paradossale, in ogni caso, per un sovrano, quello di essere ridotto al ruolo di prigioniero all’interno del proprio palazzo/labirinto. È il caso di un altro “minotauro” della letteratura: il giovane conte Tito De’ Lamenti, protagonista della Trilogia di Gormenghast di Mervyn Peake. Il castello di Gormenghast (forse il vero protagonista dei tre romanzi) è una vecchia rovina che sembra uscire direttamente da un’incisione di Giovan Battista Piranesi, enorme nelle sue dimensioni, ancora in parte inesplorato, abitato da una straordinaria folla di buffi personaggi. La fortezza è un luogo che sembra esistere da sempre, in cui le stesse consuetudini e gli stessi riti, ormai vuoti di significato e ridotti a pura forma si ripetono da secoli. È proprio da tutto questo, dal labirinto di pietra, ma più ancora dal labirinto di inutili cerimonie e assurdi rituali che deve affrontare ogni giorno, che il giovane Tito vuole allontanarsi, tentando di fuggire per sempre dal castello. Ma se Ghormengast è il mondo, se contiene tutto ciò che esiste, può esistere qualcos’altro all’infuori di Gormenghast?


Nel silenzio, che incombeva alle sue spalle come una spada, sentì la voce della madre. Non era alta. Non era irritata.

«Non esiste un altrove» gli disse. «Non farai che girare in tondo, Tito De’ Lamenti. Non esiste strada, non esiste sentiero che alla fine non ti riporterà a casa. Tutto conduce a Gormenghast.»[4]

 



Il labirinto presuppone una persona intrappolata che tenta di uscirne. Sognare di ritrovarsi in un labirinto ci fa svegliare di soprassalto con un brutto senso di ansia e oppressione. Piranesi (2021), l’ultimo romanzo di Susanna Clarke, ci porta in un luogo molto simile a Gormenghast: una casa dalle infinite stanze spazzate dal vento e allagate dalle maree, decorata con file e file di statue che rappresentano tutto ciò che esiste (un giardiniere, un gorilla, un bambino che suona il flauto…), tutto ciò che non esiste (un fauno, un elefante che regge un castello sulla propria schiena…), tutte le idee che circolano nel mondo, il nostro mondo, e che poi vanno a creare l’alternativo e labirintico mondo della Casa. All’interno del grottesco edificio vive Piranesi (il nome non necessita chiaramente di spiegazione…). Piranesi adora la casa, il benevolo labirinto che gli dà da mangiare, che gli permette di vivere al suo interno, che molto spesso lo lascia senza parole per la sua bellezza («La Bellezza della Casa è incommensurabile; la sua Gentilezza, infinita.»[5]). Bella da lasciare senza parole, in particolare, una stanza decorata (ovviamente) con cinque giganteschi minotauri. Piranesi non si perde mai, nessuno come lui sa orientarsi all’interno della Casa, in effetti tranne lui e il misterioso L’Altro, nessun altro vive nella Casa. Ma, come ci insegna la letteratura, se esiste un labirinto, esiste qualcuno che l’ha costruito, esiste una porta, esiste un prigioniero che tenta di evadere…




Di certo è un prigioniero che tenta di evadere Edmund Dantes, il Conte di Montecristo di un bel racconto di Italo Calvino. Dantes, in una versione alternativa del classico Il conte di Montecristo di Dumas, è rinchiuso in una cella particolarmente angusta del castello d’If, nella realtà alternativa della sua mente la prigione va espandendosi continuamente, arricchendosi di nuove stanze, nuove mura, nuovi ostacoli da superare per arrivare alla libertà. A rendere ancora più claustrofobica la situazione, i continui tentativi di fuga dell’Abate Faria, compagno di prigionia di Dantes, si rivelano ogni volta vani e non fanno altro che condurre l’Abate in regioni sempre più interne della fortezza. Ma è proprio da questi tentativi falliti che il protagonista può tentare di capire l’impossibile fortezza e mettere in piedi un piano di fuga.


Così continuiamo a fare i conti con la fortezza, Faria sondando i punti deboli della muraglia e scontrandosi con nuove resistenze, io riflettendo sui suoi tentativi falliti per congetturare nuovi tracciati di muraglie da aggiungere alla pianta della mia fortezza-congettura.[6]


Fatti vari esempi, qual è dunque lo scopo del nostro disordinato articolo? Nessuno. Semplicemente ci andava di addentrarci, con chi avrà voglia di leggere, nel vasto labirinto della letteratura. Ognuno dei libri che abbiamo nominato può essere un’ottima scelta. Un’ottima via d’uscita dal nostro mondo e una porta d’accesso per altri mondi possibili.


La cosa più angosciosa nel labirinto è che ti trovi ininterrottamente nella situazione in cui devi fare una scelta. Ti sconvolge non la mancanza di un’uscita, ma l’abbondanza di “uscite”.[7]



Nico



[1] J.L. Borges, L’Aleph, Milano, Adelphi, 1998, p.58.

[2] G. Gospodinov, Fisica della malinconia, Roma, Voland, 2013, pp. 86-87.

[3] Ibidem.

[4] M. Peake, Gormenghast, Milano, Adelphi, 2017, p.594.

[5] S. Clarke, Piranesi, Roma, Fazi, 2021, p.15.

[6] I. Calvino, Ti con zero, Milano,Garzanti, 1988, p.163.

[7] Gospodinov, Fisica della malinconia, cit., p.262.



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