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Perché il solito giallo? (parte 2)

 

Chissà, forse alcuni di voi ricorderanno il primo articolo della nostra pagina[1]: era l’11 giugno del 2020 e il tema del nostro scrivere era il genere poliziesco. Al classico poliziesco che tutti conosciamo, provavamo a contrapporre cinque “gialli non gialli”, cinque libri che tentano di sovvertire la forma di un genere spesso ripetitivo e stereotipato. Rileggendo il nostro breve scritto ci pare che da quel giorno ben poco sia cambiato: alla collana I gialli Mondadori, al tempo giunta al numero 3192, sono stati aggiunti ventisette volumi, nelle classifiche di vendita i polizieschi occupano spesso i primi posti e nelle librerie lo scaffale che li contiene è ancora il più frequentato.

Nel nostro forse poco umile articolo criticavamo la struttura del classico racconto poliziesco, struttura che, come in un vecchio edificio consumato dal tempo, appare ben visibile sotto l’intonaco della trama. Ciò che tralasciavamo di chiederci è: perché, se il genere è ormai antiquato, se la struttura è sempre la stessa, se la trama è ormai prevedibile, il giallo vanta ancora così tanti estimatori?

Per capire il perché di tanto successo vale la pena ritornare indietro fino al momento della nascita del genere poliziesco. Siamo nell’aprile del 1841, nel racconto I delitti della Rue Morgue assistiamo all’incontro tra il narratore e August Dupin in una libreria antiquaria. Divenuti subito amici e poi coinquilini, i due passano le giornate leggendo e chiacchierando e le serate passeggiando per le vie di Parigi. La prima coppia detective-assistente della storia della letteratura è costituita insomma da due individui ai margini della società, due sfaccendati che, invece che guadagnarsi da vivere onestamente, passano le giornate oziando, collezionando cianfrusaglie e passeggiando senza meta tra i boulevards e i passages della capitale francese. Il signor Dupin è un perfetto flâneur. È Baudelaire uno dei primi a fornirci la descrizione di questa figura tipica della grande città dell’800 e dell’inizio del ‘900:

 La folla è il suo regno, come l’aria lo è degli uccelli, e l’acqua dei pesci. La sua passione e professione è sposare la folla. Per il perfetto flâneur, per l’osservatore appassionato, è causa di immenso godimento prendere dimora nel numero, in ciò che fluttua e si muove, è fuggitivo o infinito. Essere fuori casa e sentirsi dappertutto a casa propria; vedere il mondo, esserne al centro e rimanergli nascosto: ecco alcuni dei più comuni piaceri di questi spiriti indipendenti […][2]


Un altro autore che riflette sulla figura del flâneur (e flâneur egli stesso) è Walter Benjamin, che prende proprio Poe e il suo protagonista Dupin come esempio:

È da supporre che la folla qual essa appare in Poe, coi suoi movimenti frettolosi e intermittenti, sia descritta in modo particolarmente realistico. […] Questi movimenti non sono tanto quelli delle persone, intente ai loro affari, quanto piuttosto quelli delle macchine da loro manovrate. Sul loro ritmo Poe sembra aver modellato, in modo davvero profetico, l’atteggiamento e il modo di reagire della gente. Il flâneur non condivide comunque questo comportamento, anzi piuttosto ne interrompe il ritmo; la sua rilassatezza da questo punto di vista non sarebbe nient’altro che un’inconscia protesta contro i ritmi del processo di produzione.[3]

Il flâneur non accetta di entrare a far parte del processo di produzione, è un sabotatore della società capitalistica, è, a suo modo, un rivoluzionario. Tutto ciò, non risponde però alla nostra domanda: perché il poliziesco gode ancora di così tanti estimatori? Per farcene un’idea torniamo nella Parigi di Baudelaire e di Benjamin, una città, al pari delle altre città europee d’inizio ‘900, sempre più grande, sempre più popolata, sempre più difficile da amministrare e governare. È questo il periodo in cui nascono i primi sistemi di controllo degli individui: i numeri civici degli edifici, l’utilizzo delle impronte digitali, le foto segnaletiche dei pregiudicati. In una società in cui ogni cittadino è “controllato” e identificabile, l’unica avventura possibile per il detective-flâneur è l’indagine sulle tracce di qualche ignoto criminale. Sarà dunque questo, forse, il motivo per cui il poliziesco, al contrario di altri generi letterari, continua a vantare un gran numero di lettori: la possibilità, in un mondo in cui non esistono più luoghi da esplorare e misteri da scoprire, in un mondo in cui il continuo sviluppo della tecnica spegne il senso dell’avventura, di vivere ancora un’emozionante avventura.

Tra queste infinite avventure noi, come al solito, ve ne proponiamo cinque:

 

1) Anna Maria Ortese - Alonso e i visionari (1996). Il giallo fantastico

Alonso e i visionari è la storia di Julio Decimo, assassino e terrorista morto in modo misterioso, è la storia di suo padre Antonio, filosofo e ispiratore di terroristi, è la storia di Jimmy Op, professore americano che sembra nascondere un segreto e provare un forte senso di colpa, è la storia di Stella Winter che, da semplice spettatrice, si ritroverà suo malgrado implicata in un caso inspiegabile. Alonso e i visionari è però soprattutto la storia di Alonso, un cucciolo di puma che ha il potere di cambiare la vita di tutti gli uomini con cui viene a contatto, penetrando profondamente nella loro sensibilità e, spesso, risvegliando la loro pazzia. Voltando le pagine del libro ci accorgiamo che il delitto, il movente, l’assassino, i fatti reali e quelli immaginati hanno ben poca importanza, perché quella che Ortese vuole raccontarci è una storia del tutto diversa…


2) Roberto Bolaño - I detective selvaggi (1998). Un giallo-non giallo

Il titolo di questo romanzo è tratto dalla sezione centrale, che è anche la più ampia delle tre che lo compongono. Certamente questa sezione è anche la più caratteristica: se la prima e la terza, cioè Messicani perduti in Messico e I deserti del Sonora, sono scritte in prima persona dal protagonista delle vicende narrate, la seconda, I detective selvaggi per l'appunto, comprende decine di interventi presentati da voci differenti e intervallate. Queste voci sembrano indagare il destino di tre poeti: Ulises Lima e Alberto Belano (alter ego di Bolaño), giovani maestri della corrente del realismo viscerale, e Cesàrea Tinajero, poetessa vissuta anni prima e la realviscerista dalla perduta eredità. La polifonia degli interventi permette di ricostruire in parte le vite di questi poeti, senza poter però stabilire cosa sia effettivamente vero e cosa frutto del punto di vista di ognuno. Non un vero e proprio giallo quindi, ma un romanzo che si affida a numerosi commissari e spinge il lettore a indagarne le pagine allo stesso tempo. A chiudere la sezione, infine, troviamo l'intervento isolato dello studioso Ernesto García Grajales che dichiara di essere l'unico al mondo ad aver indagato la storia del realvisceristi e di volerne pubblicare un libro. Che sia lui il vero detective del romanzo?




3) Sergio Saviane - I misteri di Alleghe (1964). Il giallo che cambia la realtà

I misteri di Alleghe parte da alcuni fatti di cronaca realmente accaduti: una serie di cinque omicidi commessi tra il 1933 e il 1946 ad Alleghe, piccolo paese dell'alta provincia di Belluno. Nell'indifferenza (o complice omertà?) degli abitanti del paese, i delitti sarebbero stati probabilmente archiviati come casi irrisolti se, nel 1952, il giornalista Sergio Saviane non avesse deciso di dedicare al caso un'inchiesta giornalistica. Il risultato? una denuncia per diffamazione per il povero Saviane e una condanna a otto mesi di reclusione. È qui però che la scrittura riesce nell'impresa di cambiare la realtà: il brigadiere Ezio Cesca, affascinato dalla vicenda, decide di indagare in prima persona. Il carabiniere riesce a superare la diffidenza degli abitanti del paese e scopre poco a poco che gli omicidi sono tutti collegati tra loro, dovuti allo stesso movente e riconducibili alle stesse persone. Ma tutto ciò, a caso risolto, ci verrà raccontato nel 1964 da Sergio Saviane, colui che, dodici anni prima, aveva dato con il proprio articolo una scossa decisiva alle indagini.


4) Maurizio Cucchi - Il disperso (1976). Il giallo in versi

In realtà è sempre strano parlare di giallo in versi: per definizione il giallo è un genere che si presta alla prosa e i poeti non sempre lo vedono di buon occhio. In realtà Il disperso di Cucchi è un caso limite. Se a prima vista sembrerebbe una classica raccolta di poesie, e basta prenderne in mano una copia per notarlo, dopo un'attenta lettura si è più portati a considerarlo una specie di romanzo, anche se forse un po' bizzarro perché in versi. La vicenda narrata si sviluppa a partire dal vissuto biografico dell'autore che cerca di analizzare la figura del padre attraverso l'espediente dell'istruttoria poliziesca. Il protagonista, il commissario e il delitto, classici elementi del genere, sono però inseriti in una struttura non lineare ma composta di frammenti che devono essere assemblati per ricomporre il senso della storia e che infondono senza dubbio un senso di smarrimento nel lettore. Addirittura il poeta Valerio Magrelli, che scrive l'introduzione alla seconda edizione, non parla di trama ma di un disfarsi narrativo: come se il libro non fosse altro che la raccolta di frammenti e voci che raggiungono il lettore come fitte diverse di un'unica emorragia. Una lettura insolita, dunque, per un amante del giallo convenzionale.





5) Watson - Book Tour. L'autore incontra il suo pubblico (2021). Un giallo a fumetti

La vicenda di questa graphic novel è tanto semplice quanto surreale: G.H. Fretwell, uno scrittore che ha appena pubblicato il suo ultimo romanzo, intraprende un tour promozionale che prevede diversi firmacopie tra le librerie di una grande città. Ma le vendite non vanno bene e una serie di equivoci porteranno il protagonista a confrontarsi con la polizia riguardo i delitti del killer della valigia: poco per volta la situazione precipita dunque, fino ad assumere delle tinte surreali, che in qualche modo accelerano il ritmo della lettura, nella vana speranza di riuscire a capire il perché di quello che ci si ritrova a leggere. Solo alla fine, quando ritorna la calma, il nostro protagonista dichiara di aver capito chi è il colpevole, senza però rivelarlo. A questo punto il lettore, consapevole che l'identificazione dell'assassino è possibile e che gli indizi stanno sia nel testo che nei disegni, non può fare altro che rassegnarsi a ricominciare il libro dall'inizio, sperando che una seconda lettura favorisca la risoluzione dell'enigma. 
Book Tour è senza dubbio un libro insolito che affascina per la trama ben pensata e per lo stile di disegno semplice ma estremamente piacevole (ricorda molto alcune vignette umoristiche di una famosa rivista di enigmistica italiana). Sicuramente non potrà che piacere a quei giallisti che, stanchi della solita impostazione romanzesca, cercano qualcosa di insolito che possa soddisfare la loro fame di mistero. 





[1] Eccolo qua. https://lafestadellinsignificanza.blogspot.com/2020/06/perche-il-solito-giallo.html

[2] C. Baudelaire, Il pittore della vita moderna, Venezia, Marsilio, 1994, pp. 67-69.

[3] W. Benjamin, Opere complete. IX. I «passages» di Parigi, Torino, Einaudi, 2000, p.362.

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